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382 CAPITOLO DECIMOQUARTO


Don Emanuele non ritornò a Velo colla siora Bettina, preferì fare il giro di Lago col nuovo curato. Ma essa lo aspettò di piè fermo sulla porta della canonica col cuore grosso del discorso di Teresina. Lo versò, affannosa, sulla impassibile compunzione del cappellano e parve che ne fluisse via come acqua sul marmo.

«È tanto più necessario andare prima a Padova» diss’gli. «Poi si regoli. Se vedrà la ragazza volonterosa di andare a Castelletto, da Padova vada a Castelletto.»

Il dialogo fu interrotto e chiuso dal suono festoso delle campane che annunciavano il ritorno di Sua Eccellenza e chiamavano il popolo a incontrarlo alla stazione di Seghe.



IV.



Salita nella sua camera, Lelia scrisse una brevissima lettera a donna Fedele, la pose nella sua piccola borsa di rete d’argento. Aperse la valigia preparata la mattina coll’aiuto della cameriera, ne tolse i libri ascetici e le immagini sacre che chiuse in un cassetto della scrivania, vi pose una parte dei rododendri, il caro fascicolo di Schumann. Tratta una poltrona davanti all’armadio a specchio, vi si gittò a sedere si guardò nelle profondità scure del cristallo, male illuminate dalla lontana lampadina elettrica.

Un piccolo colpo all’uscio; Lelia scatta in piedi. È papà che domanda di entrare, apre l’uscio a mezzo, porge, allungando il collo, la testa.

«Bezzi? Te occorre bezzi? No, vero? Le hai quelle cinquecento lire?»

Ella fu per rispondere che ne aveva spese o perdute