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«AVEU» 357

paese, fra le creste delle grandi rocce al cui piede è Dasio, una punta di dolomia che somiglia a un’altra punta di dolomia che io vedevo dal salone della Montanina, attraverso le vetrate della galleria superiore, ascoltando «Aveu». Oh come come mi parlava quella piccola punta inclinata nel cielo! Questa non le somiglia poi tanto, ma io la torco, la sforzo; e se sapesse quante volte nei pochi giorni da che sono qui m’impietrai anch’io a contemplarla!

«E questo questo devo dirle, sopra tutto. Non ho più quel rifugio, quell’asilo di sdegno e di disprezzo nel quale ho cercato fino a ieri una difesa contro l’amore. Non mi sento più il diritto di disprezzare chi mi ha giudicato male non conoscendomi. Il mio solo diritto, diritto e dovere insieme, è di salvare la mia dignità se avessimo a incontrarci ancora nella vita.»

Qui Lelia, leggendo, sorrise. E subito baciò impetuosamente la lettera, quasi a chieder perdono del sorriso. Proseguì a leggere:

«Domani scenderò ad Albogasio per prendere gli ultimi accordi col sindaco circa la tumulazione in quel cimitero della salma di Benedetto, il cui trasporto è, credo, imminente. Ho scritto a Roma che faccio volontieri queste pratiche in omaggio alla memoria di un amico diletto ma che non mi sento di parlare sulla bara come i miei amici vorrebbero. Anche la mia fede in un Cattolicismo immortale sarà in quella bara. Se parlassi, direi che piango sopra l’uomo che me l’ha ispirata e sopra di essa.

«E adesso, addio. Mi scriva della Sua salute. Ove credessi di valer meglio dei medici che ha vicini, verrei a curarla. Ma non lo credo. Essi sono esperti e io, novizio, vado a curare la moglie del sagrestano. Addio ancora!

Il Suo figliuol prodigo
(contento delle ghiande).»