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352 | CAPITOLO DECIMOTERZO |
riferì che quella signora di Velo era ripassata per andare a casa, che si scusava con Lelia di non avere aspettato e che sarebbe ritornata il giorno seguente. Lelia non parve accorgersi che si parlasse di lei.
All’atto di salire in carrozza, donna Fedele le disse, col suo dolce sorriso, un «addio, cara». tenerissimo. Allora, all’ultimo momento, la fanciulla le chiese di riprendersi la lettera, sottovoce, colla esitazione di chi prevede che la sua domanda non sarà presa sul serio.
«Ma che, ma che!» fece donna Fedele.
III.
Rimasta sola, Lelia fu presa da una palpitazione violenta. L’onnipresente cuore le batteva anche nelle tempie. Si nascose in seno la lettera, andò a sedere sui gradini della chiesetta.
Si disse, per placare il tumulto del cuore, che forse la lettera parlava soltanto di religione, di fede perduta o di fede riacquistata, e che questo, a lei, era del tutto indifferente. La lettera le metteva a ogni modo, colla sua presenza sensibile, un torbido ardore, un senso vertiginoso che la sua volontà fosse ridotta impotente nel turbine del destino. Udì scender gente da sinistra e si alzò. Passarono due contadini di Lago, salutando. Ella pensò di ritirarsi in casa. Fatti pochi passi sull’erta, se ne pentì. In casa, nella sua camera, non avrebbe resistito alla tentazione di leggere subito. Non voleva leggere subito. Sostò, incerta. Finalmente ritornò indietro con una incoscienza di automa, discese i gradini della chiesa, prese la via di Lago. A misura che procedeva nel cammino, entrava nella sua incoscienza di automa l’idea di andar a leggere in un luogo deserto.