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«AVEU» | 351 |
L’ironia suonò ancora più acerba. Donna Fedele riflettè un poco.
«Senti» diss’ella. «Oggi la mia borsa è una cassetta postale.»
Ne tolse una terza busta e continuò:
«Questa è una lettera che ho ricevuta stamani. Non voglio che tu la legga ora. La leggerai più tardi. Te la lascio. Non restituirmela. Te la lascio per sempre. Leggine e rileggine bene la chiusa. Non ti dico altro. E adesso aiutami ad alzarmi. Abbiamo fatto troppo aspettare la cognata dell’arciprete.»
Lelia prese la lettera pensando che faceva male a prenderla, per un irresistibile impulso. Così il giuocatore che ha giurato ai figli di non toccare le carte mai più, afferra, disprezzandosi e tremando, il mazzo che gli è offerto davanti a un tavolino e a un pugno d’oro. Appena presala, fu per restituirla; ma donna Fedele cercava già, faticosamente, di alzarsi. Non potè a meno di darle aiuto e fu un aiuto difficile. Passato il primo momento, sentì che la restituzione non poteva più essere tanto impetuosa da imporsi, che lo stato di donna Fedele non permetteva una lotta. Si disse che le restava sempre la facoltà di non leggere. Donna Fedele, esausta, si fermava ogni due passi, pesando tutta sul suo braccio e talora guardava Lelia, sorrideva della propria stanchezza, soavemente.
«Senz’altri congedi, sai» diss’ella. «Non ti domando più di venire al villino. Ho bisogno di una gran quiete, prima di affrontare questo viaggio. Puoi mandarmi un rigo a Torino quando vi sarò. Ospitale Mauriziano.»
Lelia non parlò. Quella lettera le bruciava la mano, le bruciava il cuore. Giunte alla carrozzella, le due signore si avvidero di avere dimenticata la coperta. Il vetturino corse a pigliarla e la cugina Eufemia, che intanto aveva fatto un’amichevole conversazione con lui,