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INTORNO A UN'ANIMA 337

vincibile. Se ieri sono stata cattiva con Lei fu per il sentimento che mi fa scrivere così. Mi perdoni.

Lelia.


Rilesse, giudicò di avere scritto chiaro, bene, opportunamente. Non c’era più luogo a correzioni, a pentimenti. Partite quelle parole, era finito tutto, per sempre. Cadde a giacere sul letto, spossata a morte anima e corpo, senza forza nelle membra, senza lume nei pensieri, senza vita nel cuore, nè di dolore nè di desiderio. Dormì un’ora. Svegliatasi, balzò a sedere sul letto, sgomenta di aver dormito, di non saper quanto, di non raccapezzarsi. Visto il foglietto aperto sulla scrivania, le ritornò la coscienza con un moto lento, nel petto, di dolor sordo. Si lavò, si ravviò i capelli. Crescendole quel senso di dolore, invadendola tutta, le si mossero, le ingrossarono in seno le onde del pianto. Non pianse, però. Una voce interna le disse che forse lo scritto non andava ancora bene, ch’era forse da rifare. Lo prese per rileggerlo e non le fu possibile, tanto le mani tremavano e la vista s’intorbidava. Uscì per andarlo a rileggere fuori, in giardino, dove i nervi non avrebbero osato ribellarsi così. Discese al sedile dei noci. Era tanto stanca, vi era tanta pace nel vento fresco, nelle onde dell’erbe mature, nel continuo gorgoglio della Riderella, che il tumulto dei suoi nervi si chetò. Come l’infermo che al partirsi di uno spasimo acuto ritorna spossato al senso delle cose circostanti e ancora non sa se viva nel reale o nel sogno, ella sedette a lungo, collo scritto non riletto in grembo, attonita, inerte. Il foglietto le scivolò dalle mani, cadde sull’erba. Lo sentì e non si mosse. Qualche altra cosa le scivolava dalla mente, non consentendo ella nè contrastando. Si chinò, raccattò la lettera, cominciò a lacerarla pian piano, da un angolo. Lacerava lacerava guardando l’erba con occhi pieni di sogno. A misura che lacerava ne venne prendendo co-