Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/348

336 CAPITOLO DUODECIMO

deciso di spedirla. A tredici anni la strana fanciulla si era innamorata di un geranio che teneva in vaso ed era giunta a pungersi il seno per nutrirlo del proprio vivo sangue. Adesso le passò per la mente di pungersi e di scrivere a donna Fedele col sangue. Non lo fece, temendo di farla sorridere. Sdraiata nell’erba umida, si vedeva passare nelle palpebre chiuse quel che aveva scritto, che voleva e disvoleva, con angosciosa vicenda, spedire al villino. «Prego non parlarmi di quella grande persona mai più.» Si era fermata dopo infiniti cambiamenti, dopo stracciati otto o dieci foglietti a questa forma di ripulsa che simulava risentimento per una frase della lettera di Massimo. Se n’era compiaciuta amorosamente come di un’opera d’arte. Ma ora le venne il dubbio che appunto fosse da escludere l’apparenza di un risentimento perchè la sua ripulsa non verrebbe considerata ferma, definitiva. Desiderò rileggere tutto e rientrò in casa. Per via trovò Teresina che veniva ad avvertirla di avere preparato un caffè forte.

«Madre!» esclamò la cameriera, camminando dietro a lei. «Pare stata...» S’interruppe, non disse «nell’acqua» per ribrezzo della parola, tanto aveva pensato la notte a certo gorgo del Posina dove, pochi giorni prima, si era scoperto il cadavere di un suicida.

No, «grande persona» non andava, non andava! Nè bastava togliere «grande.» Era opportuno dare allo scritto un altro tono, escludere ogni apparenza di risentimento e di disistima. Stracciò anche quel foglietto e scrisse così:

Cara amica,

La prego di non parlarmi mai più, nè direttamente nè indirettamente, di quella persona che io potrò anche stimare, se vuole, ma che m’ispira una contrarietà in-