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INTORNO A UN'ANIMA 329

tando. Aveva notato l’occhiata della fanciulla alla cugina Eufemia, pensava che desiderasse parlarle da sola a sola. Le spalle di Lelia sussultarono, il capo negò con violenza.

«Vuoi qualche altra cosa?»

La dolce voce giovane della signora, tuttavia carezzevole, ebbe però una punta dell’accento che dice: ma infine! E i grandi giovani occhi bruni lo dissero pure. Lelia non li potè vedere, li indovinò. Alzò dal guanciale il viso lagrimoso, abbracciò l’amica e partì.


III.


Ritornò nel pomeriggio del giorno seguente. Donna Fedele stava leggendo, alzata, nella sua camera da letto. Le si gettò ginocchioni ai piedi, protestò di non potere assolutamente più vivere alla Montanina. L’amica le batteva intanto e le ribatteva dolcemente la mano sul capo ripetendo dei piccoli «ò — ò — ò» di mansueto rimprovero.

«Cosa è successo, dunque?» diss’ella. «Alzati e racconta.»

Ci volle del tempo perchè Lelia, che le premeva il capo sulle ginocchia, si alzasse e parlasse. In fatto non era successo che il contatto con una realtà già conosciuta e odiata da lontano. Donna Fedele temette, al vedere quella disperazione, che ne fosse causa la governante del signor Camin. Non sapeva come chiederne a Lelia. Le chiese di Teresina, seppe che rimaneva in servizio perchè l’altra era partita. Ma neanche Teresina poteva sopportare, ora, quella casa, quel padrone, quella gente. Quella gente era poi l’unico dottor Molesin, che, grazie a Dio, stava per andarsene. Lelia fremeva contro quell’individuo viscoso che aveva creduto rendersi ama-