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328 CAPITOLO DUODECIMO



II.


Poche ore prima che, per obbedire non tanto a suo padre quanto a donna Fedele, Lelia prendesse congedo dal villino, arrivò la cugina di Santhià, «tota» Eufemia Magis, una vecchietta piccola, curva, incartapecorita, di cui si sarebbe detto che fosse venuta a cercare aiuto e non a portarne. Per quanto donna Fedele fosse sofferente, la sola vista della cugina Eufemia le apriva insieme le due vene della tenerezza e della canzonatura. Quando l’aveva ospite non si dava pace perchè non le mancasse nulla e in pari tempo la canzonava senza pietà per i suoi abiti antiquati, per le grandi cuffie nere dai nastri violetti, per i pretesi amori giovanili, per la materia fantastica delle confessioni frequenti, per la ignoranza dei sessi che la cugina rivelava esclamando «oh mi povr’om!» ogni volta che le cadevano gli occhiali o un ferro da calze. Ella era presente quando Lelia si accomiatò dall’amica.

«Spero» disse donna Fedele, «che tuo padre ti permetterà di venire a trovarmi spesso.»

Gli occhi di Lelia lampeggiarono.

«Vorrei vedere!» esclamò. Donna Fedele le prese e accarezzò le mani mormorando: «sii buona, sii buona, sii buona!».

Lelia guardò la Magis che allora scivolò umilmente, silenziosamente, fuori della camera. La fanciulla abbracciò l’amica, posò il capo sul guanciale accanto a lei. L’amica le pose una mano sui capelli, le disse dolcemente:

«Quella lettera ti ha fatto male?»

Nessun cenno, nessuna voce di risposta.

«Non vuoi proprio che gli scriva niente di te?» Donna Fedele proferì queste parole piano piano, esi-