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INTORNO A UN'ANIMA | 325 |
attuare colla partenza della Gorlago. Non gli era passato per la mente il menomo sospetto che l’odore di essenza di rose, un’aura di giovinezza e di eleganza, un sussurro di voce dolce fossero entrati per qualchecosa nel suo disegno di togliere quella giovine al mondo e all’amore. Non ne aveva messo a parte l’arciprete. Forse ne lo aveva distolto il ricordo di uno scherzo grossolano del Superiore sulle ragazze che, disperate di trovar marito, sposano Gesù, tanto per poter chiamare sposo qualcuno. Forse sapeva che don Tita accarezzava l’idea di un matrimonio della signorina con certo giovine signore di Vicenza. Ne aveva accennato alla siora Bettina. Tremando, sudando, gemendo, con pena e con affanno, la siora Bettina combatteva ora, per fargli piacere, le proprie ripugnanze a mettersi in relazione colla signorina da Camin. Don Emanuele voleva ch’ella cercasse di sostituirsi, come amica, alla Vayla, di esercitare una sana influenza religiosa sulla ragazza.
La disgraziata, quando vide il cappellano entrare, si sperò al termine delle proprie fatiche, per quel giorno, e si alzò coll’intenzione di andarsene. Egli le fece colla mano, senza guardarla, un cenno sospensivo, salutò Lelia e prese tranquillamente posto sul canapè, mentre la Fantuzzo tentennava sulla sedia fra un definitivo alzarsi e un definitivo sedere, guardando il cappellano con uno sguardo umilmente deprecante. Egli non parlò, la guardò alla sua volta, severo; cosicchè la povera donna si quietò a sedere. Spalancò tanto d’occhi udendo che don Emanuele aveva un piacere da chiedere alla signorina da Camin e a lei. Il solo accenno a un incarico da eseguire in comune colla signorina le fece risalire le vampe al viso. Si affrettò a dire che non sapeva far niente, che non era buona a niente.
«Prego» le rispose don Emanuele col gesto placido del Superiore che invita l’inferiore a tacere. «Prego.»