Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
316 | CAPITOLO UNDECIMO |
di tutto il superato. Come il Cattolicismo ha compiuto Mosè, una forma religiosa superiore compierà forse il Cattolicismo. La Chiesa uscì della Sinagoga che le vive misera accanto, un quid superiore uscirà dal Cattolicismo. Vi devono essere dei Precursori che si sacrifichino? Devo io sacrificarmi, predicare questo Verbo in opposizione al Verbo che ho predicato fin qui? Ecco l’angoscia mia. I miei amici di Roma vorrebbero che io parlassi nel cimitero di Oria quando vi sarà tumulata la salma del mio maestro, di Benedetto. Temo di non poterlo fare senza ipocrisia perchè Benedetto credeva irremovibilmente nella immortalità della Chiesa Cattolica e nel dovere dell’obbedienza. Se mi persuado ch’egli si è ingannato, come oggi dubito, ne offenderei, parlando sulla sua tomba, la venerata memoria, dovrei cedere il posto a un discepolo più fedele.
Don Aurelio, ch’è tuttora a Milano in attesa di lezioni, ignora lo stato dell’animo mio. Non ebbi il coraggio di parlargliene, non avrò quello di scrivergli. A che gioverebbe dargli un così gran dolore? Non ne spero aiuto perchè so fin d’ora cosa mi risponderebbe. Egli è per sè un argomento a favore della Chiesa Cattolica, più forte di quelli che potrebbe addurmi parlando o scrivendo; argomento, però, che non basta, perchè anime nobili, pure e convinte si trovano in ogni Chiesa e anche fuori di ogni Chiesa.
Eccole la dolorosa verità sullo stato dell’anima mia. Il mio soffrire di questo stato viene dalla convinzione che, se rompo col Cattolicismo, non avrò più in me una sola certezza religiosa positiva, e come vivere allora?
Poichè questa è una lettera filiale, desidero anche dirle qualchecosa delle mie nuove condizioni economiche. Finora ho largamente usato della generosità grande di mio zio. Oggi so che mio zio, parsimonioso per sè quanto liberale cogli altri, potrà disporre per un’opera