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CONTRO IL MONDO E CONTRO L'AMORE 313

gli dissi il mio proposito di abbandonare definitivamente Milano se colà o altrove, con un posto di medico condotto o senza, avessi trovato un rifugio solitario, rispondente ai bisogni dell’anima mia.

Un battello del lago di Lugano mi portò al villaggio che mi fu indicato come il centro della Valsolda. Compresi al mettervi piede che quello non era paese per me, che non vi avrei trovato la solitudine desiderata. Seppi di un albergo decente nel paese più alto e remoto della valle. Ed eccomi in questo romito Dasio, seduto nel fresco umido verde cui rocce colossali incombono da tramontana e da levante. Eccomi apparentemente a quattro o cinque ore da Milano, realmente a una distanza infinita. Il mio albergo, dove per ora non è anima viva di ospiti, si chiama Pension Restaurant du Jardin. Le scrivo da una stanzetta quadrata, pulita, dove non manca un tavolino quasi elegante. Ma io ho portato carta e calamaio sul davanzale della finestra che guarda un gran verde scendente verso lo specchio profondo del lago, un gran silenzio. Se avessi l’anima in pace e fossero troncati per sempre tutti i miei legami col mondo, potrei meglio sentire questa pace delle cose, questa intesa delle montagne grandi colle chiesine della valle in un richiamo delle anime umane a Dio. Presso al mio albergo tace la chiesa del villaggio. Vi leggo da qui sulla facciata: Divo Bernardino. Sarà quello di Siena? Vorrei. Non so, del resto, se ne esistano altri. A destra, in basso e da lontano, un campanile taglia lo specchio, ancora più basso, del lago. Potrei, se avessi pace in me, sentir meglio la pace di queste chiese antiche, di queste pietre ignare delle nostre lotte, custodi dello spirito cattolico dei nostri padri. Ahimè, cara mamma Fedele, l’anima mia non entra in colloquio nè colle montagne nè colle valli nè colle chiese, l’anima mia non sente la quiete delle cose perchè non è in lei