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CONTRO IL MONDO E CONTRO L'AMORE 309

«Mi preghi pace. Ne ho forse più bisogno in questa vita che non ne avrò nell’altra e spero averne trovata la via; ma il cammino è lungo.»

Rabbrividì e reagì, pronta, contro i brividi. Sfogliò le dodici pagine rapidamente, cercando se vi fosse il suo nome. C’era, c’era; sentì terrore e sete delle parole non lette in cui stava. Vi corse sopra sfiorandole con terrore e sete, leggendo e non leggendo. Vi si parlava di lei, sì, lungamente di lei. Il dolce vi era misto coll’amaro. Questo Lelia lo capiva ma correndo così sulle pagine non poteva farsi un’idea dello stato d’animo dello scrittore, delle sue attuali disposizioni verso di lei. Dio, meglio sfiorar così le parole, meglio non legger bene se dovesse troppo soffrirne, poichè aveva promesso di vivere! Alzò gli occhi, abbandonò sulle ginocchia le mani che tenevano la lettera. Le si riaccese la sete di leggere, le si irrigidì la volontà di resistere. Mancarono insieme l’una e l’altra rapidamente, annientandosi a vicenda. Risollevò le mani senza volere nè disvolere, da automa, e lesse, cominciando là dove aveva prima visto il proprio nome.

«Lelia! Ne ho sdegno e vergogna, cara mamma Fedele, ma il vero è che mi sentii gelare, posai la penna, mi presi la testa fra le mani e stetti lì non so quanto, lottando col desiderio d’immaginare lei, che fosse qui. Ella crede forse che la immaginassi mia, umile, appassionata. Sì, questo era il mio desiderio, ma lo schiacciai e invece la immaginai d’altri, umile ad altri, appassionata per altri, volendo meglio irritarmi contro di lei, strapparmela del tutto dall’anima. Ora l’accesso è passato e me ne resta un disgusto amaro di me stesso, di non saper costringermi all’equità verso una bambina che non è in colpa se mi ha giudicato falso e basso, se non possiede le qualità native di mente e di cuore che io le attribuivo nella mia folla idealizzazione perchè