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IN GIUOCO 299

Andè!» Giovanni consegnò il biglietto e si ritirò mogio mogio. Non domandò se ci fosse risposta. Aveva saputo dal messo che il biglietto annunciava l’ufficio funebre del signor Marcello per il prossimo lunedì. Andò in cucina a raccontare del colloquio segreto fra il padrone e Molesin. La Gorlago che gli aveva già posti gli occhi cupidi addosso, udito da lui di questo colloquio misterioso, lo prese arditamente per mano, gli disse di condurla a origliare. Perchè il giovine si mostrava onestamente ritroso, gli domandò con un sorriso equivoco: «el ga paüra del scür?» Giovanni resistette. Ella fece una spallata sprezzante e andò sola. Quel brutto vecchio Molesin col quale aveva sprecato, nella sua larga benignità, qualche smorfia, le era odioso. Sbagliò un uscio, urtò delle sedie, ma giunse alla meta.

Ella si era ordinato, prima di uscire della cucina, un caffè. Il caffè era pronto da un pezzo e la Gorlago non ricompariva. Giovanni andò a prenderne notizie. Non ritornano nè Giovanni nè Gorlago. Finalmente Giovanni rientra di corsa fra spaventato e ridente, annuncia che nello studio si fa un baccano d’inferno. C’è la Gorlago che strepita come una bestia. Pare che corrano anche dei pugni. Tutta la compagnia, cuoca, custode, moglie del custode, Giovanni, si precipita allo spettacolo. Entrano, in punta di piedi, nella sala del biliardo. Odono la Gorlago che strilla il proprio panegirico: «l’a de savè che mi» questo e «che mi» quello, il sior Momi che sbraita: «zitto, tasì, andemo, basta!» Molesin che geme: «ma sì, benedeta, lo so, benedeta!» Giovanni scappa in giardino, spia dalla finestra, vede il sior Momi in piedi fra il tavolo e la poltrona, che scuote le mani verso la Gorlago scongiurando, la Gorlago che avanza, coi pugni sui fianchi e le spalle curve, contro Molesin come per divorarlo e Molesin che indietreggia, più bianco della sua camicia,