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IN GIUOCO 291

potevano consentire quelle vertebre lignee, tutte d’un pezzo; e gli fluiva di bocca, a scatti gorgoglianti, come l’acqua da una bottiglia capovolta, la parlantina rapida, non interrotta da un solo - aho, - o piuttosto, se si vuole, simile a un impetuoso fiume di aho aho, che travolgesse rottami di consonanti. Gli si domandava il settantacinque per cento quando egli non poteva più dare nemmeno il venti offerto una volta. Si meravigliava che Molesin non lo capisse. Egli aveva offerto il venti quando si poteva ritenere che sua figlia, diventata erede di una buona sostanza, avrebbe fatto dei sacrifici per il padre. Qualcuno glieli avrebbe prestati, allora, i denari per dare il venti. Ma ora che la ragazza si mostrava come si mostrava, ostilissima al padre, renitente persino a convivere con lui, ora gli si domandava il settantacinque! Aveva offerto il venti appunto perchè sapeva di non poter fare grande assegnamento sull’aiuto di una ragazza bizzarra che non gli aveva mai mostrato il menomo affetto. E n’era venuta la prova. Grande assegnamento? Nessun assegnamento! E dove li pigliava i quattrini, per dare il venti? Doveva rubare, dunque? Rubare alla propria figlia? Aveva un conforto, sì, quello di potersi mostrare, alla prova, galantuomo, contro le calunnie di certa gente. E un altro conforto, aveva. Lo ammetteva volentieri; non gli sarebbe mancato un pane, perchè sua figlia, lo desiderasse o no, era in obbligo di fornirglielo, per legge.

«Basta basta basta» fece Molesin. Si alzò e passò dal Lei al Voi, stroncando anche all’amico il falso da del cognome.

«Sentì, Camin. Intanto ve aviso che go a casa tuti i numeri de le cartele de rendita che gavea sto sior qua.»

Il sior Momi esclamò che non gliene importava e offerse il cinque.