non aveva fatto, quasi, attenzione; la seconda lo aveva colpito. Il secondo viso poteva essere il viso di una creatura conscia di qualche sua colpa grave oppure di un triste destino; poteva essere un viso guardato con amore e inteso a celare amore; poteva essere semplicemente il viso di una giovinetta che pensa. Era, in paragone dell’altro, un viso più giovanile di un’anima più profonda; era il viso di una bambina di quindici anni moralmente e intellettualmente matura quanto una donna di trenta. Anche l’idea di farsi un ritratto simile indicava qualchecosa di strano e di forte nella intelligenza che l’aveva concepita. Massimo n’era stato preso, e, restituendolo all’amico, gli aveva taciuto il dubbio che quella tentante creatura, dall’aria di sfinge pensosa e triste, convenisse al suo carattere, potesse renderlo felice. Per molti giorni, ora se ne rammentò, la figura della giovinetta sfinge gli si era affacciata, nella immaginazione, con insistenza tormentosa. Mentre seguiva Teresina, le due testoline differenti gli balenarono ancora in mente. La domanda se avrebbe trovato l’una o l’altra fu per formarsi nel suo pensiero, ma egli non la stimò conveniente e non se la permise. Ne lo distrasse anche Teresina, parlandogli del desiderio inquieto col quale lo attendeva, fin dalla mattina, il signor Marcello. Aveva, con pretesti, allontanato lei, allontanato il domestico, allontanata pure la signorina, che tuttavia se n’era accorta, con lo scopo di non essere veduto entrare nella camera preparata per l’ospite. Prima era disceso in giardino a cogliere colle proprie mani delle rose. Le aveva portate in quella camera di furto. Non che presumesse tener segrete queste sue attenzioni; le persone di servizio dovevano pur entrare nella camera prima dell’ospite, all’ultimo momento, per l’acqua fresca, per vedere se tutto fosse in ordine. Soltanto non voleva che lo vedessero mentre vi entrava e vi stava egli, certo