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NEL VILLINO DELLE SPINE 287

libera, lascio libera» monchi di sostantivo e di pronome. Quando la signora accennò al carattere un po’ eccentrico della figliuola per disporlo al possibile rifiuto, da parte di lei, del colloquio ch’egli certo desiderava, mise fuori anche qualche «aho aho» d’ilare consenso. Poi approvò espressamente il viaggio di Torino. «Contentissimo, poi. Eh contentissimo, sissignora. Un onore poi, un onore.»

Finalmente pronunciò anche lui il suo discorso autonomo. «Se non disturbo... se non disturbo... pregherei... se non disturbo.» Più di così non gli uscì di bocca. Donna Fedele intese che quella era la domanda ufficiale di vedere Lelia. Era questo ch’egli desiderava? «Ecco, per ubbidirla, sissignora.» Ella disse che Lelia non stava ancora troppo bene ma che l’avrebbe fatta avvertire. Le aveva imposto, prima, con tanta energia di ricevere suo padre s’egli chiedesse di lei, che la fanciulla piegò.

Lo ricevette in piedi, ferma, con una faccia sepolcrale. Egli le si avvicinò premuroso, non più stecchito, balbettando «ciao, ciao, ciao - come stai, come stai, come stai?» La baciò sulle due gote. Ella ebbe un brivido ma si lasciò baciare, rigida come una statua. Non gli disse di sedere. Egli sbirciò una sedia e non osò pigliarla. Lodò il viaggio di Torino. Brava, brava, contentissimo, contentissimo. Poi cavò il portafogli, disse che avendogli la signora scritto di questo viaggio, egli le aveva portato «i cosi.» Tolse dal portafogli e le porse un pacchetto di biglietti da dieci lire.

«Cambiate le cose!» diss’egli «Aho aho! - Eh, ma roba tua, roba tua! Pochi mesi ancora, renderò conto!» Un’altra risata cretina e il sior Momi cambiò ingenuamente il suo ammirativo in interrogativo: «Vero? Renderò conto?».

«Non importa!» rispose Lelia con piglio sprezzante,