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NEL VILLINO DELLE SPINE 283

Lelia in un lungo abbraccio. Nella giornata si sentì molto meglio, sperò, anche per esperienze passate, in un periodo di calma e fece i suoi piani per l’adempimento della promessa. Ragioni d’interesse la consigliavano di recarsi a Torino dove dimorava il suo agente. Pensò che si farebbe visitare da Carle e poi, se Carle lo permettesse, andrebbe un poco al fresco, o verso il Rosa o in Val d’Aosta. Chi sa se il signor Camin avrebbe permesso a sua figlia di accompagnarla? Lelia dichiarò nel solito suo modo tronco, sfidante, che andrebbe senza permesso. L’amica le diede, sorridendo, della bambina, le disse che suo padre aveva il diritto di farsela ricondurre a casa dai carabinieri. «Non oserà mai!» rispose Lelia, pensando alle tante lettere umili ch’egli le aveva scritte, ai denari che tante volte gli aveva spediti. Donna Fedele alzò un poco le sopracciglia e tacque. Poi scrisse, per proprio conto, a Camin. Il custode portò la lettera alla Montanina e riferì che il signor da Camin era atteso per la mattina seguente. Lelia dichiarò, prima ancora di venire interrogata, che se suo padre capitasse al villino, non intendeva di vederlo. Lo disse con tanto risoluta fierezza che la sua prudente amica credette bene di non farle, in quel momento, alcuna osservazione. Mise l’argomento da parte per la conversazione intima della notte. Aveva offerto a Lelia la sua camera di prima e Lelia aveva rifiutato, desiderava poter assistere l’amica materna, se ne avesse bisogno. L’amica materna ne fu assai contenta, parendole poter lavorare quell’anima più facilmente nella notte.

Infatti, la sera stessa, appena spento il lume, la interrogò.

«Dunque, se tuo padre viene?»

«Se mio padre viene, non sono ancora ben guarita, ho mal di capo, non sono in grado di vederlo.»