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NEL VILLINO DELLE SPINE 279

«Tu non sai» cominciò lenta lenta donna Fedele «e nessuno sa, nessuno deve sapere che sono condannata a morire presto; credo molto presto.»

Aspettò una parola, un moto di sorpresa, di protesta. Niente; silenzio. Continuò.

«Sono ammalata da più di un anno. Mi è ripugnato sempre di farmi visitare e forse adesso sarebbe troppo tardi. Soffro molto. Ma le mie sofferenze non sono solamente fisiche, ne ho anche una morale.»

La voce lenta si abbassò.

«Vi è stata nella mia vita un’ora terribile. Mi sono innamorata, a diciotto anni, di un uomo che non era libero. Tu hai già indovinato chi era. Non l’ho amato di un amore puramente ideale, no. L’ho amato con tutta la mia anima e con tutto il mio sangue. Fortunatamente egli non ricambiò la mia passione, mi chiese silenziosamente la rinuncia. Allora pensai a morire. Studiai un modo di morire che non paresse suicidio, perchè il dolore di mio padre non fosse troppo amaro. Una corsa in montagna, un passo difficile, uno sdrucciolone. Fortunatamente ancora, mio padre ammalò. Non aveva che me, perchè mia madre morì quando avevo tredici anni. Il mio amore per lui, che si era alquanto assopito durante l’altra passione, si risvegliò. E si risvegliò anche il mio sentimento religioso. Non posso dire se mio padre avesse letto qualche cosa nel mio cuore. Certo egli mi parlava, durante la sua convalescenza, di Dio, di Cristo, dell’anima, del dolore, dell’amore, senza severità di ammonimenti, ma con una grande dolcezza, con una tenerezza che mi rivelò tutto il male della mia passione e dei miei propositi di suicidio. Le monache del mio collegio non mi avevano data che una vernice di religione. Fu mio padre che mi fece credere col cuore e amare la mia fede. Povero papà!»

Donna Fedele tacque, commossa dalla mesta ricono-