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SANTE ALLEANZE | 271 |
padre; più di così, probabilmente, non vorrà concedergli e sarà come nulla. Bisogna ch’essa ritorni alla Montanina, bisogna che Momi voglia e sappia riguadagnarsene l’animo. Brutto affare.
«Povero Momi!» diss’egli, malinconicamente. E, senza fiatare delle lettere di donna Fedele, passò a un altro discorso. Domandò se Momi avesse fatto celebrare un ufficio funebre nel giorno settimo dalla morte del vecchio Trento. No, nessuno ne aveva parlato. In circostanze ordinarie, l’arciprete avrebbe fatto interrogare in proposito la famiglia. In quelle circostanze, il signor Camin essendosi impensatamente allontanato la mattina del quattro, sua figlia non trovandosi a casa, non se n’era fatto niente. Ignorava se il cappellano ne sapesse qualche cosa di più ma non lo credeva.
«Adesso sentiremo» diss’egli. E suonò per far venire il cappellano.
Molesin si era incontrato una volta con don Emanuele a Padova. Lo aveva fiutato avverso. Si era sentito a disagio come se quell’occhio acquoso, gelido, lo spogliasse di tutte le morbide pelli finte che portava sulla dura pelle vera. Aveva fiutato bene. Don Emanuele la sapeva lunga sul suo conto; lo aveva tenuto a distanza, pensatamente. Molesin avrebbe fatto volentieri a meno d’incontrarsi ancora con lui. Ma quando il cappellano entrò nel salotto e salutò l’ospite, questi si accorse tosto, con recondita dolcezza, che l’occhio acquoso era meno gelido dell’altra volta. Infatti l’occhio acquoso vedeva ora nell’onesto Molesin l’uomo che aveva fatto conoscere alla pia signora Camin, e quindi agli ecclesiastici suoi amici e consiglieri, la pericolosa presenza di Massimo Alberti alla Montanina. Nel salutarlo, il suo volto si atteggiò a un lieve sorriso, parve dire tacendo: «ah, è Lei!» Udito che neppure don Emanuele aveva parlato con alcuno di quel tale ufficio funebre e che