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SANTE ALLEANZE 269

Si tratta, per loro, di far passare questi pochi mesi. E si è pensato il bel colpetto. Una notte la ragazza scappa. È una ragazza ardita, anzi sfacciata, e l’arciprete dice di averne le prove. Piglia un treno in qualche parte, come aveva fatto don Aurelio, e va in Piemonte. In Piemonte la sua protettrice ha un nuvolo di parenti. La ragazza si nasconde un po’ qui un po’ lì, fino a che passano questi benedetti mesi. Intanto l’altra lavora per il signor Alberti, suo protetto anche quello. Lo ha già fatto venire a Seghe, da Milano, dopo la sua fuga. Sono stati veduti insieme in un luogo solitario, sulla riva dell’Astico, a far complotti. Ma c’è la Provvidenza. La Provvidenza si serve di un eretico, di un birbante, per rompere le ova nel paniere di quell’altro. La Provvidenza lo conduce a dormire, una notte di pioggia, dove la ragazza non credeva certo di trovarlo. E succede il patatrac.

Don Tita descrisse il patatrac e venne alla morale. La commedia si ripeterebbe certo e il signor Camin o da Camin doveva pensare al riparo se non voleva che arrivasse Spazzacamin.

Tutta questa industriosa architettura non era farina del sacco di don Tita. Era farina del sacco di don Emanuele. Il sacco di don Emanuele era un sacco a doppio fondo. Don Emanuele aveva informazioni che comunicava e informazioni che non comunicava a don Tita. Gli comunicava quanto reputava utile o almeno indifferente che fosse poi ripetuto dall’arciprete senza prudenza. Non gli comunicava ciò che, conosciuto segretamente da lui, gli procacciava un monopolio di sapienza direttiva e la coscienza gradevole di tale superiorità. Ma, sul conto di don Tita, egli s’ingannava. Don Tita pareva più grosso di lui ed era invece più fine. Don Tita si era accorto del giuoco e fingeva di lasciarsi giuocare. Non credeva, per esempio, nella