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SANTE ALLEANZE | 267 |
mento profondo del suo fervore religioso, una tensione della volontà verso la vita semplice austeramente, esemplarmente pia, di un degno Pastore di pastori. Vi era il senso dolente della fine prossima di una parte della sua vita, la penultima, che si allontanerebbe da lui per sempre, insieme a tante lunghe consuetudini di luoghi e di persone. Il dottor Molesin, benchè sbalordito dalla bomba della fantesca, intese il granchio pigliato dall’arciprete e approfittò dell’abbraccio, lo prolungò tanto da rimettersi bene a posto, da potere sfoderar poi, anch’egli come l’arciprete, un metro di fazzolettone turchino e stropicciarsene con zelo gli occhi.
«Bela elezion!» esclamò ripiegando il fazzolettone «Gran bela elezion!» Intanto si era riordinato anche l’arciprete. Supplicò Molesin di essere discreto; e perchè il dottore gli domandò, titubante, il nome della diocesi, gli troncò le parole: «no se sa gnente, no se sa gnente, no se sa gnente». Lo richiamò ad altro argomento con uno di quei «dunque?» che si gettano a uncinare il prossimo come ami legati a un filo, invisibile sì ma ben conosciuto dall’uncinato, che ne sperimenta subito il tirar forte.
«Dunque» disse Molesin parlando italiano per aggiungere importanza al discorso «il gran modernista ha dovuto levare i tacchi; come il prete suo amico, mi hanno detto.»
L’arciprete rise.
«Storie vecchie, queste» diss’egli. «Storie vecchie, caro. Parliamo del presente.»
Lo sapeva bene, Molesin che il «dunque?» dell’arciprete era stato un uncino gittatogli per tirarlo al torbido presente: anch’egli voleva venire al presente ma non tiratovi a forza con pericolo d’inciampare. Voleva mettere i piedi dove piaceva a lui. Cosa poteva egli dire del presente che l’arciprete non sapesse già? La