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SANTE ALLEANZE | 259 |
contrò Teresina sulla scala e domandò anche a lei: «la signorina?»
«No la gh’è no.»
«Come no la ghe xe?»
Teresina lo guardò, colpita dal suo accento.
«Non signor. L’è dalla signora Vayla.»
«E Momi che no parla!» pensò Molesin, avviandosi alla sala da pranzo. Mentre egli vi entrava da una parte, la Gorlago ne usciva, scura scura, dall’altra, mentre il sior Momi le brontolava dietro:
«Gala capìo? Da brava!» L’aveva chiamata per dirle di levarsi dalla camera delle rondinelle e di andare dove aveva prima disposto Teresina.
Molesin non sapeva nè chi fosse nè dove abitasse questa signora Vayla. Il suo fiuto gli diceva un cattivo odore di guai fra padre e figlia. Gli venne in testa, prendendo silenziosamente il caffè e latte, che la ragazza non volesse trovarsi colla Gorlago. Voleva sapere. Aveva necessità di sapere. Se padre e figlia vivevano come cane e gatta, visto che fra pochi mesi la ragazza sarebbe diventata libera dispositrice delle proprie sostanze, il sior Momi avrebbe cercato di arraffare in quei pochi mesi quanto poteva, danaro, titoli, gioie, tutto ciò che può sparire senza lasciar traccia e poi... chi s’è visto s’è visto, si sarebbe al punto di prima, con una speranza di meno.
«La senta, caro Momi» diss’egli, prendendo pacificamente il caffè e latte, «quando se podarà riverir la putela?»
Momi rispose ch’era ammalata.
«Oh, povareta povareta!»
Molesin s’intenerì. «La gavemio disturbada?» Momi rassicurò l’innocente amico. Lelia non era in casa. Era presso una signora di Arsiero, una vecchia amica del signor Marcello. Aveva voluto andare presso