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SANTE ALLEANZE 257

si faceva passare per dottore in giurisprudenza, accettò l’incarico a patto di prelevare il trenta per cento sul soprappiù che gli riuscisse di spremere da Momi oltre la sua proposta. Momi, invitato a trattare con lui, non seppe di questo patto e credette potersi guadagnare l’avversario con l’offerta di un buon regalo se la proposta venisse accettata. Molesin, convinto che l’amico avesse quattrini nascosti, pieno di speranza nell’attesa eredità di Lelia, la quale, venuta in possesso degli averi Trento, vorrebbe certo salvar l’onore del suo nome, fece lo scrupoloso. Lo fece mollemente perchè gli sorrideva l’idea di condurre le cose in modo da pigliarsi tutti e due gli zuccherini. Il sior Momi, dal canto suo, non dubitò un momento che quegli onesti scrupoli non si potessero tradurre in cifre.

Siccome il morto l’aveva e grosso, si riservò di regolarsi, colle cifre, secondo il vento. Intanto spillava denari alla figliuola con piagnistei, celava, quanto poteva, la buona cucina e la buona cantina di cui era solito attenuare le proprie sventure coniugali e quelle della Carolina, consociate a mutuo conforto. All’annuncio della eredità conseguita da Lelia, tuttora minorenne, Molesin affilò, gongolando, le unghie. Adesso era il momento di sorvegliare Momi, un «macaco» che mirerebbe certamente a inghiottire il più possibile e a sputar fuori il meno possibile. Adesso era il momento di sorvegliare anche la figlia. Della figlia egli si era già occupato, ma da lontano. Coetaneo, condiscepolo, amico dell’arciprete di Velo d’Astico, teneva con esso una corrispondenza discretamente attiva, collo scopo dichiarato di avere notizie della signorina Camin da comunicare all’amico Momi, cui erano interdette le relazioni colla Montanina. L’arciprete credeva in buona fede che le curiosità del vecchio amico Checco non avessero altri fini e scriveva. Scrisse anche dell’arrivo alla Montanina del famoso giovine modernista. Molesin si spaventò,