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SANTE ALLEANZE | 253 |
Udito che la Montanina era vicinissima, considerata l’andatura flemmatica del ronzino, riprese coll’amico la conversazione di affari che avevano interrotta lasciando il treno. Il vetturino, curioso come un giornalista, udendo che i due discorrevano animatamente di cose da lui non capite, cercò di far cantare la sua vicina. Chi era il signore che stava dietro a lui? La donna rispose asciutta:
«So minga.»
«E Ela, xela parente de quell’altro sior che xe de drio de Ela?»
«So minga.»
«Maledeta!» pensò il ragazzo linguacciuto. E si divertì a tormentarla con un’altra domanda:
«No la xe miga de sti paesi, Ela?»
«Sonto di un paese più meglio.»
Quegli non si attentò a domandarle altro.
Era di Cantù. Un capomastro comasco l’aveva conosciuta serva di osteria e, sposatala, se l’era portata a Padova. Divisasi dal marito, ell’aveva preso servizio presso il sior Momi, prima come cuoca, poi come governante. Infatti serviva e governava. Da giovine, Momi Camin era stato ascritto al partito clericale. Poi, avendo arrischiata la prigione per certi imbrogli, n’era stato escluso. Dopo un breve passaggio al radicalismo anticlericale dove, allora, c’era poco da rodere, aveva preso a servire, agente elettorale apprezzato e disprezzato, i moderati. Le necessità di un’alleanza clerico-moderata lo avevano messo nuovamente in relazione cogli amici antichi, alcuni dei quali, brave persone, lo ritenevano calunniato, gli concedevano una stima che nessun altro, a Padova, gli concedeva più. Egli aspirava a ritornare in grazia del partito. La Carolina era una difficoltà, benchè quelle brave persone si ostinassero a credere ch’egli peccasse, a tenersela in casa, d’imprudenza e