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VERSO L'ALTO E VERSO IL PROFONDO | 243 |
ne rimase interdetto, e, preso congedo, se ne andò senza dire se avesse cambiato idea, per la notte, o no.
Le due signore scesero a un angolo del giardino, dov’erano disposte delle sedie.
«Dama bianca delle Rose» disse Lelia. «Un bel nome!»
«Troppo bello, per me» osservò donna Fedele, «ma Carnesecca farebbe certo meglio a inventar nomi che a predicare Lutero o Calvino o non so chi.»
Lelia le domandò distrattamente chi fosse quest’uomo e come avesse abbracciato il protestantesimo. Donna Fedele le ne fece la biografia. Andò molto per le lunghe, e si accorse assai tardi che Lelia non l’ascoltava più. Lelia fissava una sedia vuota. Donna Fedele tacque e l’altra continuò a fissare la sedia vuota. Benchè fossero quasi le nove, benchè il cielo si andasse annuvolando, su quel piano del giardino, alto, scoperto, bianco di ghiaia, faceva ancora chiaro. Lelia si accorse alla sua volta che donna Fedele la osservava. Cessò di guardare la sedia ma non ruppe il silenzio. Cominciò a cadere qualche gocciolina e donna Fedele propose di rientrare. Vista la cameriera che sparecchiava, le ordinò di mandare il custode a chiuder bene il cancelletto per il quale era entrato e uscito Carnesecca. Lelia si affrettò a dire che desiderava fare due passi e che andava lei.
Il custode stava per coricarsi quando ella entrò nella casina attigua al cancello grande. Fu ricevuta da sua moglie, chiese di vederne un bambino ammalato, s’informò di tante cose, a proposito di questo bambino, con tanto affettuosa premura che la donna ne fu intenerita. Rimase forse dieci minuti e ritornò al villino senz’avere parlato del cancello. Entrò nel salotto, al buio, udì la voce di donna Fedele: «hai mandato?». Rispose franca:
«Sì».