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242 CAPITOLO SETTIMO

piccolo posto tra i beati. Beati estis cum dixerint omne malum. Io mi glorio di quel nome!»

Donna Fedele protestò che non aveva voluto schernirlo, lo invitò a salire e sedere, gli fece portare il caffè. Poi gli domandò come mai fosse ritornato in quei paesi tanto infausti per lui. Rispose che andava a Laghi, disposto a subirvi da capo il martirio già subìto a Posina.

«A questa stagione» disse donna Fedele con molta gravità, «probabilmente, patate.»

«Magari!» rispose colui. «Ma se a Laghi vi è un Caifasso simile a quello di Velo, ho paura che saranno “pere” come dicono nel Suo paese di Piemonte.»

«Dica; mi pare che dovrei forse, in coscienza, gettargliene una anch’io!»

A questa uscita, fra seria e scherzosa, di donna Fedele, Carnesecca alzò le braccia al cielo, mostrando per alquante scuciture il bigio di una camicia poco pulita.

«No, Dama bianca delle Rose. Ella non mi deve gettare il menomo sassolino. Io non offro Bibbie a Lei perchè Lei ne ha già una, io ne sono certo. Io non cerco che Lei si faccia protestante, perchè Lei è una cattolica veramente cristiana. Io sono venuto questa sera per ringraziarla ancora della carità che mi ha fatto accogliendomi sotto il Suo tetto.»

Donna Fedele gli domandò se intendesse andare a Laghi quella sera stessa. No, era stanco. Veniva da Vicenza, aveva camminato sette ore. Donna Fedele lo compianse molto ma gli tolse una cara illusione. Se lo aveva ospitato colle ossa rotte, non intendeva però di ospitarlo quando si disponeva a farsele rompere ancora. Egli parlò, rassegnato, di una vaga speranza, per la prossima notte, nel fienile della Montanina. Non sapeva della morte del signor Marcello nè conosceva Lelia. Questa restò muta e impassibile mentre l’amica gli dava, quasi esitando, quasi sottovoce, la lugubre notizia. Carnesecca