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VERSO L'ALTO E VERSO IL PROFONDO | 239 |
camera del povero padrone e non ne è venuto fuori che dopo un gran pezzo. Giurerei che i gioielli della povera signora sono in viaggio, adesso. E me li domanda a me! Capisce il pensiero che ho io, le accuse che quell’uomo è capace d’inventare!»
Donna Fedele cercò di rassicurarla e, congedatola, andò a riposare perchè non poteva più reggersi. La quiete benefica del corpo le acuì le inquietudini dell’animo. Quel benedetto Alberti, pensava, se fosse qui, ora! Altro che amore, altro che passione! E lui fa l’orgoglioso! E magari sarà capace di fare l’orgogliosa lei, se quest’altro piega!
Vedeva dalla sua finestra l’aperto levante, il grande arco di cielo fra le due ali di montagne distese al piano. Il suo sguardo passava sopra il cimitero di San Giorgio. Amara cosa, pensare la Montanina in mano di quell’uomo che fruga, che ruba, che infetta, e lui, il suo povero vecchio amico, impotente a tutto, escluso da tutto, buttato là in un angolo, per sempre. Interrogò la propria fede per potersi dire ch’egli stava in pace, che vedeva l’ordine di tutte le cose, diretto a un Bene finale ed eterno attraverso mali di ogni specie. Ma la sua fede aveva momenti paurosi di eclissi, ella temette di sentirne venire uno e non volle più pensare al cimitero di San Giorgio. Ripensò invece un’idea venutale la notte, nel suo letto insonne: chiedere al padre di Lelia il permesso di portarsi la ragazza in Piemonte, allontanarle, così, almeno per qualche tempo, l’incubo della convivenza con lui. Respirerebbe, intanto; e poi potevano succedere tante cose. Sì, appena colui ritornasse, andrebbe a parlargli. Non pensò più a niente, chiuse gli occhi, sperando poter dormire.