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VERSO L'ALTO E VERSO IL PROFONDO | 237 |
vistosi scoperto e scornato, aveva preso la ferrovia; che l’arciprete aveva in mente un conte di Vicenza fatto apposta per la signorina, ma che questo era un segreto. L’Angela sarta si era poi tenuta in obbligo di riferire ogni cosa all’amica Teresina.
«Le ho detto queste cose con buona intenzione» continuò costei, «perchè avevo capito che c’era stato un complotto contro quel povero signor Alberti e mi pareva quasi di esserci entrata anch’io, ne provavo rimorso.»
«E allora?» chiese donna Fedele, commossa.
«Sentirà» rispose Teresina sospirando. «Prima la vedo scura, Gésu, nera. Ma, parlare, non parla. Dopo comincia a farmi domande, mi fa ripetere cento volte quello che mi ha detto l’Angela. Finalmente si alza, sale la scala di corsa, prende a sinistra, verso la sua camera. Aspetto un poco e poi vado su anch’io, pian piano, entro nel corridoio, chiamo: vuole qualche cosa, signorina? Sento chiudere l’uscio a chiave con un colpo rabbioso, non sento altro. Sto lì un poco e poi, per paura che si arrabbii peggio se vien fuori e mi trova, mi allontano. Non avevo fatto ancora due passi che sento un grido, piuttosto un urlo soffocato che un grido, e poi certe voci che fa lei, che le ho udite fare un’altra volta per una lettera di suo padre, voci che non sono nè gemiti nè grida, nè pianto nè riso: ah-ah-ah, come se le mancasse il respiro. Si quietò presto, però, e io pensai bene di scendere ad aspettarla in salone.
Infatti, pochi minuti dopo, vedo scendere anche lei. Era bianca come la bianca Morte, ma composta. Mi disse che partiva. Le chiesi il permesso di venire con lei a vedere il villino. Pareva indecisa se rispondermi di sì o di no. In quel momento capitò la Sua cameriera. Si partì insieme. Prima di arrivare al ponte del