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236 CAPITOLO SETTIMO

andarmene. Pensai che fosse meglio andarmene. Quando ero per uscire, mi richiamò. Sa, dice, che il signor Alberti abbia avuto il permesso di portarsi via la fotografia? Io resto stupefatta. No, dico. Lei allora fa una smorfia. Che vergogna! dice. Ma, dico, scusi, la fotografia c’è. L’ho posta io in un cassetto del tavolino. Mi sono scordata, poco fa, di dirglielo. E andai a prendere la fotografia, gliela portai. Poi, cosa vuole, siccome ho saputo tante cose, mi sono permessa di dire una parola, così in generale, a favore del signor Alberti. Lei si arrabbia. Cosa mi viene a contare, adesso? Non si ricorda cosa mi ha detto del signor Alberti?»

Qui Teresina interruppe il suo racconto, si scusò umilmente delle parole che stava per riferire, e riprese:

«Sarà stata donna Fedele, dice, a farle la lezione. No, dico, donna Fedele, dopo il funerale, non la ho più veduta. È verissimo che Le ho raccontato delle brutte cose del signor Alberti, ma poi ho saputo che non erano sicure.»

A questo punto Teresina riferì, confusa e dolente, il primo discorso fatto da lei a Lelia sugli amori milanesi di Alberti e le sue scoperte posteriori. Il giorno del funerale, la cognata dell’arciprete, parlando di Alberti con certa Angela, sarta, le aveva detto che quel giovine amico del curato di Lago e del signor Marcello era un individuo diabolico, un nemico mortale dei sacerdoti, che il merito di averlo fatto partire era stato di suo cognato; che il cappellano aveva ricevuto una lettera d’un sacerdote milanese conoscente di una signora, affezionata alla signorina Lelia, la quale era in gran pena per la presenza qui di questo diavolo di giovine, che si credeva, a Milano, in relazione con una donna maritata; che suo cognato aveva trovato il modo di far sapere alla Montanina di questa relazione, che allora il giovine, venuto appunto coll’idea di fare un matrimonio ricco,