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234 CAPITOLO SETTIMO

Arsiero, poteva essere andata verso la Barcarola. Donna Fedele, inquietissima, andò a interrogare il custode. Il custode, operaio della cartiera di Perale, era al lavoro. Sua moglie rispose tranquillamente che la signorina l’aveva incaricata, uscendo, di dire alla padrona ch’era andata alla Montanina a pigliarsi certe cose e che ritornerebbe dopo le sei. Evidentemente Lelia aveva pensato che Alberti, se venisse al villino, ripartirebbe con quel treno. Il suo messaggio significava ch’ella non voleva essere d’impaccio. A ogni modo donna Fedele mandò la cameriera alla Montanina col pretesto di aiutare, se occorresse.


Lelia ritornò alle sei colla cameriera del villino e con Teresina, che aveva chiesto di accompagnarla per vedere il villino dove non era entrata mai. Salutò affrettatamente donna Fedele, non le chiese nè di Alberti nè della visita al cimitero, andò a chiudersi nella sua stanza. Donna Fedele rispose con un sorriso grazioso al desiderio espressole da Teresina; ma il viso della cameriera, oscuratosi di pena e d’imbarazzo appena uscita Lelia, le apprese ch’era successo qualche cosa e che il desiderio di vedere il villino era un pretesto per parlarne con lei.

«Comincieremo dal mio studio» diss’ella.

Lo studio, nell’angolo del villino fra mezzogiorno e ponente, era la stanza più sicura dalle intrusioni e dalle curiosità delle persone di servizio. Appena donna Fedele n’ebbe chiuso l’uscio dietro Teresina, le domandò, a bassa voce, se fosse accaduto qualche cosa di male. Per tutta risposta, la cameriera si coperse il viso colle mani e si mise a piangere. Incoraggiata dolcemente a spiegarsi, protestò, con voce rotta dalla commozione, di non essere in colpa, di aver creduto far bene, di avere detto, in fin de’ conti, la verità. Donna Fedele