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232 CAPITOLO SETTIMO

lesse il Corriere della Sera fino agli annunzii, si tuffò anche in quelli. Vi trovò questo:

«È aperto a tutto agosto il concorso alla condotta medico-chirurgica dei Comuni consorziati di Valsolda. Stipendio L. 3500. Rivolgere istanze e documenti al sindaco di Drano (Como).

Mezz’ora dopo fu gridato: «Verona-Brescia-Milano!»

Massimo si alzò trasognato, tenendo ancora in mano il Corriere.


II.


Prima di ritornare al villino, donna Fedele visitò un povero giovine di Seghe, tisico all’ultimo stadio, che l’adorava come un essere celeste. L’aveva conosciuta lavorando al villino da garzone di pittore. Si era guadagnato il male con ogni sorta di stravizi, e ricordando allora la dolcezza grave degli avvertimenti di donna Fedele, gli si erano aperti gli occhi sulla sua vita pessima, aveva fatto dire alla signora, sapendola visitatrice di afflitti, che andasse anche da lui. Le si era quasi confessato, se n’era lasciato facilmente persuadere a riconciliarsi con Dio e colla Chiesa, si mostrava tanto felice delle sue visite, tanto riconoscente, ch’ella andava spesso a vederlo, a leggergli, a mostrargli libri illustrati e fotografie. Ora lo trovò triste, inquieto. Il cappellano di Velo gli aveva veduto in camera gli Evangeli pubblicati dalla Società di San Girolamo, dono della signora, e lo aveva sconsigliato dal leggerli, dicendo che non li poteva intendere. Donna Fedele nascose il proprio interno bollire, promise al povero ammalato di leggergli e spiegargli il Vangelo ella stessa e se ne andò lasciandolo contento, portandosene via la tristezza, un altro peso sul suo cuore amaro. Realmente Lelia non le