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VERSO L'ALTO E VERSO IL PROFONDO 229

«Ma bisognerebbe che Lei la vedesse, Lelia.»

Il giovine trasalì. Com’era possibile se non mancava più che mezz’ora alla partenza del treno?

«Si fermi» mormorò donna Fedele.

Fermarsi? Oh no! La dura risposta fu data con veemente commozione, parve una protesta, quasi un rimprovero.

«Le farebbe piacere.»

Malgrado il rifiuto veemente, donna Fedele pronunciò queste parole con imperturbata placidezza. Massimo era intrepido quanto lei nel non udire tutto che non voleva udire, nel non intendere tutto che non voleva intendere.

«Lei le ha scritto, però» riprese. «Lo so perchè le hanno portata la lettera al villino mentre stava a letto. La ricevetti io. Cosa le ha scritto?»

«Non vorrei perdere il treno» disse Massimo, facendosi sordo alla sua volta. «Ho poco più di venti minuti.»

«Lo perda!»

Adesso donna Fedele si accalorò alquanto. «Lo perderebbe certo» continuò «se avesse udita la confessione che Lelia mi ha fatto stamattina.»

«Che confessione?»

«Se vuole saperlo, si fermi.»

Massimo si alzò, pallido per il violento assalto della tentazione, per la violenta ripulsa che gli batteva nel cuore: no, no, no, no.

«Non devo!» diss’egli. «E Lei, scusi, non dovrebbe domandarmelo. Sarebbe una tale viltà, dopo l’insulto! Adesso perdo il treno davvero. A rivederla!»

«Vada» rispose donna Fedele, senz’alzarsi «ma è un gran bambino, Lei.»

«Un bambino?»

«Eh sì, un bambino. Non conosce l’amore, ancora. Non sa che, quando si ama, si ama. Non c’è viltà, non ci sono insulti. Quando si ama, si ama.»