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CAPITOLO SETTIMO.


Verso l’alto e verso il profondo.


I.


Il quattro luglio, alle dodici e tre quarti, donna Fedele arrivava, nel solito biroccino tirato dal solito cavalluccio, alla stazione di Seghe. Si divertì a far conversazione, nella sala d’aspetto, con un vecchio mandriano puzzolente, dal quale l’ostessa del villaggio si era allontanata con una smorfia di schifo. Udito il fischio del treno da San Giorgio, uscì nel sole ardente senza curarsi di aprire l’ombrellino. Prima ancora che il minuscolo treno si fermasse, vide Massimo affacciato al finestrino dell’ultima carrozza, gli mosse incontro, sorridente. Massimo la trovò tanto pallida, tanto sofferente nell’aspetto, ch’ella gli lesse in viso la sua impressione. Nessuno dei due, nel primo momento, cercò parole a quel moto dell’anima che li univa nel senso della recente sventura. Uscendo dalla stazione, ella gli domandò quando intendesse ripartire. Subito, col treno successivo, per ritornare direttamente a Milano. Avevano due ore di tempo. Lo invitò a salire nel biroccino che in pochi minuti li avrebbe portati a San Giorgio, dov’è il cimitero. Si