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224 CAPITOLO SESTO

«Non ho capito» rispose Massimo, ridendo. «Io ho piacere, sa, di seccare il pubblico.»

«Gusti, caro!» disse l’altro, entrando nel caffè.

Massimo, rimasto solo, si avviò a casa. Era contento di sè, amaramente, fieramente. Si stava bene, a fronte di Lelia, a fronte dello zio, a fronte del mondo nemico, del mondo schernitore, del mondo indifferente, nella sua torre di orgoglio. Se la innalzò, nel pensiero, fino alle nuvole, se la rivestì di acciaio e d’oro, si compiacque di stare nella Inespugnabile, solo. Invece di svoltare da via Manzoni in via del Monte Napoleone, proseguì, distratto, fino agli archi di Porta Nuova. Adesso la questione era di scegliere il posto, fuori di Milano, dove portarsi la sua torre. Pensando, cercando, passò anche gli archi. L’idea di concorrere a una condotta medica in montagna, balenatagli fra i castagni della Montanina, lo riprese. E andò intanto fino al Sottopassaggio, dove il senso della realtà topografica lo riafferrò.

Rientrato in casa, scrisse a donna Fedele per giustificarsi di non andare al funerale. Scrivendo gli venne l’idea di fare invece, fra qualche giorno, una visita al cimitero di Velo. Si poteva andarvi dalla stazione di Seghe fra un treno e l’altro. Stracciò la lettera e ne scrisse un’altra coll’annuncio che il quattro luglio, al tocco, sarebbe sceso a Seghe per questa visita, esprimendo la speranza di avervi compagna l’amica.