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222 CAPITOLO SESTO

suo semplicismo sentimentale, con gran sicumera, di cose che mal conosce e poco è atta a comprendere. A Massimo che l’aveva udita proclamare, in fatto di religione, di non creder questo, di non creder quello, cose grosse, e poi la vedeva correre a messa la domenica, ella irritava i nervi assai più delle altre due avversarie. Non le parlò più per tutta la serata.


Nell’uscire gli si accompagnò l’uomo politico. «Senta senta, caro Alberti» diss’egli quando furono in strada, prendendolo a braccetto. «Lei ha fatto benissimo a non discutere. Quella è gente che ragiona poco e male. Il professore è fine come un rinoceronte e le donnette, poverine, fanno quel che possono. Anche la russa. Carina tanto, ma non è di religione che vorrei discutere con lei. Carina tanto, del resto. Ma lasciamo andare. Illumini un poco me che mi trovo al buio. Mi risponda proprio sul serio, proprio secondo il Suo pensiero intimo e io prometto di non tradirla. Crede Lei davvero che questa vecchia barca di S. Pietro non deva fatalmente andar a finire in un magazzeno del Ministero della Marina? O almeno crede Lei che possa andare avanti a remi o a vela, che anche San Pietro non sia costretto, un giorno o l’altro, di prendere un motore? Lei non mi risponda come risponderebbe in pubblico. So bene come risponderebbe. Si capisce, Lei si professa cattolico. Tanto sarebbe fare una domanda simile al cardinale di Milano. Io Le domando la Sua convinzione intima, qui, a quattr’occhi. Vuol dirmela?»

«Perchè no?» fece Massimo. «Le risponderò come Pio IX ai cardinali che gli parlavano della barca sicura fra le tempeste. La barca non affonda, nè si arena, nè finisce in un magazzeno. Quanto ai barcaiuoli, è un altro affare.»