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NELLA TORRE DELL'ORGOGLIO 215

La cameriera no. La cameriera era tutta cosa di don Santino. Alla cameriera l’ingegnere aveva detto un giorno, sicuro ch’essa lo avrebbe riferito al cuoco, che a quel sant’uomo egli sarebbe disposto di dare tutto il suo. Qualcosa di simile aveva detto anche alla Peppina. «Foo a posta!» diss’egli piano, in falsetto, spalancando la bocca con una risatina di soddisfazione per la propria malizia feroce. Poi parlò sul serio dei progetti del prete e delle proprie disposizioni. Intendeva dare per niente l’opera propria d’ingegnere e cinquemila lire. Il prete sperava molto di più ma, quanto a questo, conchiuse l’eccellente uomo, «l’è matt». Soggiunse che conosceva i propri doveri e non soltanto quelli verso i domestici. Massimo pensò ch’egli avesse saputo delle informazioni dategli dal Togn e che tutto il discorso avesse lo scopo di rassicurarlo. Ne fu molto seccato. Protestò di non conoscergli altri obblighi oltre a quelli verso i domestici. Mentre parlava così, lo zio borbottava continuamente: «Ma ma ma ma ma», tenendo gli occhi sulla tovaglia e scotendo le mani, come per allontanar da sè le parole del nipote. Messo fuori, quando potè, un «te vedet?» fece, con certo suo particolare tono di fermezza blanda, una dichiarazione di principii testamentari. Di quello che aveva guadagnato colla professione poteva disporre liberamente; quello che aveva ereditato da parenti doveva andare a parenti. Siccome Massimo protestava più che mai, si oscurò nel viso, parve volergli fare intendere che non era questione di affetto ma di coscienza, esclamò concitato: «Pientèmela lì, pientèmela lì, perchè adesso io devo fare i miei mille passi per la mia digestione» e, alzatosi da tavola, congedò il nipote. Quando faceva i mille passi per la digestione percorrendo cinquanta volte in su e in giù quattro stanzette in fila, voleva esser solo. Massimo uscì, risoluto di abbandonare Milano, di provve-