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214 CAPITOLO SESTO

ogni cosa. Massimo immaginò che la dama ci tenesse tanto ad averlo, per darlo in pasto ad avversari suoi. Gli pareva già di udirla giustificarsi, «La ho desiderata per amicizia, perchè Ella potesse dire le Sue ragioni» mentre in fatto il solo suo fine era di divertirsi, mettendo alle prese fra loro della gente d’ingegno. Ella lo sospetterebbe forse di viltà, ma che gliene importava? In nessun caso e da nessuno avrebbe accettato un invito a colazione mentre il povero signor Marcello giaceva ancora sul suo letto funebre. L’amico trovò esagerato questo riguardo, ma non lo potè discutere.

Massimo fece colazione collo zio che trovò perfettamente bene e in colloquio con don Santino, il quale, al comparire del giovane, sgattaiolò via quasi a precipizio. Lo zio non parlò di questa visita se non dopo che fu portato il caffè, quando la Bigin, che aveva servito, se ne fu andata a far colazione per conto proprio. Allora ne parlò, sotto voce, esagerando il tono della confidenza, come se il dire solo «t’è vist quel pret?» fosse già mostrare un segreto della cassa forte. La confidenza continuò, sempre sotto voce, bonaria, insolitamente affettuosa, un po’ confusa però, per la preoccupazione di un fine premeditato, per il dubbio di urtare in qualcheduno o in qualche cosa prima di arrivarvi. Il viso dell’ingegnere era ilare; anzi, sulle prime, furono più le risatine che le parole. Le risatine andavano al cuoco e alla moglie del cuoco, che non potevano vedere il prete. Il padrone se n’era accorto, aveva indovinato i loro timori segreti e rideva; perchè la sua grande indulgenza per i domestici non gli toglieva di giudicarli per quello che valevano e forse anche per meno. Aveva dunque indovinato che vedevano di mal occhio il prete «perchè creden de restà in camisa lor.» Il cuoco gli aveva detto una volta, quasi aspramente: «El sa quell ch’el fa, quel pret lì, a vegnì chi!».