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212 | CAPITOLO SESTO |
cento lire meno. «Anche duecento lire» diss’egli, «per me possono significar molto.»
I due amici uscirono insieme; don Aurelio per una visita che avrebbe potuto fruttargli due lezioni la settimana, Massimo per mettere alla Posta la sua lettera e per telegrafare a donna Fedele.
III.
L’indomani mattina la Peppina disse a Massimo che suo marito lo pregava di volerlo ascoltare. Il marito venne e ricomparve anche la Peppina, si tenne presso l’uscio, quattro passi più indietro del consorte, in un’attitudine di sostegno. Il Togn, appena oltrepassato l’iniziale «ch’el senta», s’impelagò in un mare di scuse per quello che intendeva dire in un mare di - L’à de perdonà - tocariss minga a mi - mi me sta minga ben - el soo - l’è inscì - ma insomma - eccola - certi rob - mi l’è la premura che goo per lü - se po minga tasè - certi rob - vera ti? - La moglie, interpellata così, mormorò «sì già» e con un - eccola - finale il Togn chiuse il suo esordio.
Aperse la seconda parte dell’orazione presso a poco nello stesso modo:
«Donca, ch’el senta.» E volgendosi ogni tanto a raccogliere le conferme della moglie con dei «vera ti?», si mise a raccontare le gesta della Beata Ciapasü. Ne fece la biografia, trattenendosi particolarmente sull’ultimo episodio, sul progetto di fabbrica a Porta Vittoria, sul dono della dama, sulle visite quotidiane, o quasi, all’ingegnere. Preparò così una uscita di effetto nella quale innalzò anche un pochino il linguaggio, colorendolo colla cantilena speciale degli avvertimenti profetici. «E