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NELLA TORRE DELL'ORGOGLIO | 209 |
quartiere, pieno il cuore di Lelia in lagrime, sola nella villa ottenebrata dalla Morte. Prese la penna per preparare il telegramma. Ancora lo strinse alla gola il desiderio di andare, di vederla. Gittò la penna, dicendo forte, rabbiosamente:
«Dio, come son vile!»
E si guardò intorno, atterrito che qualcuno avesse potuto udirlo. Riprese la penna, pensò. Cercò parole diverse dalle solite, parole espressive dei suoi particolari sentimenti verso il morto e verso la viva. Non venivano. Gli parve che sarebbe stato più opportuno un telegramma incolore. E se, invece di un telegramma, spedisse una lettera? Decise di telegrafare a donna Fedele e di scrivere alla signorina. Scrisse queste poche parole, rapidamente:
Signorina,
Ella piange, immagino, un uomo che La beneficò paternamente. Io lo piango più ancora di Lei per il beneficio che n’ebbi, superiore a qualsiasi altro: per un alto, spirituale, inestimabile beneficio di affetto e di stima. Sia benedetta, come la memoria del figlio, la memoria del padre.
Dev.mo
Massimo Alberti
Entrò la Peppina e annunciò don Aurelio. La triste notizia datagli da Massimo lo addolorò, non lo sorprese. Prevedeva; solo non avrebbe creduto così presto. Povero signor Marcello! Dopo essersi confessato da lui l’ultima volta, gli aveva parlato della signorina Lelia, del suo dolore di lasciarla, probabilmente presto, sola, senz’appoggio, esposta a ricadere in mano di suo padre, a finire Dio sa come. Don Aurelio non andò più oltre, interrogò Massimo collo sguardo. «Cosa è successo?» dicevano quegli occhi inquieti, presaghi di una risposta non lieta. Massimo non aspettò parole, rispose: