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10 CAPITOLO PRIMO

un umile di cuore; ingiusto verso il proprio ingegno, era pronto ad ammirare l’altrui.

Fra i suoi amici prediligeva Massimo Alberti, di Milano cui era legato piuttosto per vecchie relazioni delle due famiglie che per consuetudini di Università. Massimo Alberti maggiore di parecchi anni, stava compiendo a Padova gli studii di medicina, cominciati a Roma, quando Andrea passò dal liceo all’Università. Questi ammirava l’amico per l’ingegno e la cultura singolari, per la severità del costume. Stimava grandemente superiore a sè anche Lelia e le parlava molto di Alberti, ch’ella non aveva veduto mai. Era giunto a dirle, in un impeto di amore e di umiltà, che Alberti sarebbe stato per essa un marito più degno. Lelia, punto umile di cuore, usa correr diritta alle ultime conseguenze di un principio accolto, aveva pensato: «discorso virtuoso, ma spiacente e inopportuno». Ella non intendeva l’amore così. E si era rifiutata sempre, con pretesti, a conoscere questo amico del suo innamorato. La morte di Andrea l’addolorò tanto ch’ella si fece allora un concetto esagerato del proprio amore, lo misurò insieme alla pietà, senza distinguere. Quando suo padre le disse, piagnucolando, che gli s’imponeva un grande sacrificio per il bene di lei, che i vecchi Trento la desideravano per figliuola in memoria del loro caro perduto, e che, quantunque gliene sanguinasse il cuore, egli era pronto ad accettare una proposta così vantaggiosa per lei, ella indovinò il mercato che suo padre le taceva, ebbe uno scatto di ripulsa, un impeto di offesa dignità, rivendicò a sè per un momento la tutela dell’onore familiare, affidata male a un padre spregevole; ma poi lo sdegno contro di esso, lo schifo delle lordure da lui portate nel focolare domestico, furono così grandi ch’ella ritornò sulla sua ripulsa e, pensando al povero caro morto, accettò.

Accettò, ma l’atto dell’entrare, comperata, in casa