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202 | CAPITOLO SESTO |
E rise di un riso eloquente. La Beata protestò - oh dess oh dess! - che a domandargli denari non aveva mai pensato. Ma intanto l’uncino prese e le visite di don Ceresola spesseggiarono. L’ingegnere dovette recarsi più volte con lui a Porta Vittoria. Una volta il prete non lo trovò in casa e si trattenne colla cameriera, la Bigin, sua penitente, candida a sessant’anni come lo era stata a dodici. Don Santino la mise a parte dei suoi disegni con grandi raccomandazioni di segretezza, le insegnò come dovesse fare per dargli aiuto, quasi quasi le prometteva il Paradiso se riuscisse a far mettere il Pensionato nel testamento del padrone. Toccò il tasto delle relazioni fra zio e nipote, seppe che una volta lo zio aveva detto scioperata la vita del nipote. La Bigin non potè promettere molto perchè il padrone «dininguarda a parlagh di soeu rob! El dà minga confidenza». Ma insomma, se si presentasse l’occasione... L’occasione non si presentò anche perchè la buona creatura non avrebbe capito in cent’anni a cosa servisse il Pensionato, del quale credette da principio che fosse un impiegato in pensione, caduto nella miseria. «Minga minga minga!» fece don Santino, senza ridere. E lei: «Ah no ah no ah no?». Dopo di che si accontentò di stamparsi bene in testa queste cinque parole: - il Pensionato di don Santino - e di ripetere al padrone, a proposito e a sproposito, che a don Santino, lei, se fosse stata ricca, avrebbe dato persino la camicia; cosa che, a dir vero, avrebbe potuto fare anche essendo povera e non fece.
II.
Massimo, partito da Arsiero alle sei della sera, arrivò a Milano dopo le sei della mattina. A San Spirito non lo aspettavano. L’ingegnere, lievemente indisposto da due giorni, riposava ancora. Il cuoco e sua moglie fe-