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NELLA TORRE DELL'ORGOGLIO 201

zioni ingrossavano facilmente. L’ottimo uomo non pensava che a quello, non parlava che di quello, riusciva a infastidire mezzo mondo, a far prendere in uggia lui, le sue opere, il Bene sociale, morale, intellettuale, ogni altra sorta di Beni seccatori; e anche però a prosciugare le tasche, con soddisfazione vicendevole, di qualche rara persona pia, candida, denarosa, come, del resto, si era da un pezzo prosciugate le proprie. Cipigli di parenti che si tenevano defraudati da lui del proprio, ne incontrava molti. Qualche figliuolo lo aveva messo, di nascosto dal padre e dalla madre, alla porta. Ma questi non erano dolori per lui che, toccatone uno, se ne andava felice del suo minuscolo martirio, pieno di cielo nel cuore, giustificando il nomignolo di «Beata Ciapasü» procacciatogli dal suo viso di vecchia monaca, dalla sua voce sottile, dalla eguale beatitudine colla quale si prendeva quattrini e strapazzate. Egli aveva parlato più volte all’ingegnere del Pensionato, e l’ingegnere, cuor generoso ma testa quadra, aveva sempre cercato di persuaderlo che sognava, che neppure sarebbe riuscito a trovare i quattrini per l’area. Partito Massimo per Velo d’Astico, egli capitò un giorno tutto gongolante in via S. Spirito colla notizia che una vecchia dama gli aveva regalato duemila metri di terreno a Porta Vittoria; e siccome l’ingegnere meravigliato, esclamò «ovèj!» egli rispose tacitamente, nel proprio interno, con un altro «ovèj!» di rideste speranze e decise di porre l’ennesimo assedio al forzierino che tante volte gli aveva aperto gli sportelli. Cominciò a pregare l’ingegnere di allestirgli un progetto, un progettino, uno schizzo, per ora, con un preventivo sommario, due righette, un numerino. L’ingegnere capì benissimo dove si andava a finire con tanti diminutivi. Si schermì, sulle prime. «Ben, ch’El senta!» proruppe finalmente alle insistenze dell’altro, «il progetto, come posso, mi ghel foo, ma denari...!»