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SPUNTA L'OMBRA DEL SIOR MOMI 191

signorina li volesse ricevere. Lelia, seccata, interrogò donna Fedele, che le diede il consiglio di riceverli.

«Intanto» diss’ella, «se permetti...»

Lelia intese, mormorò: «si figuri». L’altra si avviò, grave, alla camera della Morte per la sala del biliardo e lo studio. Passando per lo studio, la sua mirabile fortezza fu per venirle meno. Ella si era trattenuta ivi con lui poche ore prima. Vedeva il viso rugoso e tuttavia parlante giovanilmente, gli occhi tanto mobili agl’impulsi dell’anima calda, udiva la voce sincera. Pareva che ne fosse uscita allora allora. La sedia a bracciuoli, dietro il tavolo, era spostata per isghembo. Sul tavolo, davanti alla sedia, si vedeva un registro aperto. L’uscio della camera da letto era socchiuso. Donna Fedele lo spinse pian piano, con riverenza, entrò. Vide sul letto, fra due ceri ardenti, il suo vecchio amico vestito di nero, col crocifisso nelle mani di avorio. La moglie del custode, seduta in faccia al letto, presso la finestra, si alzò in piedi. Donna Fedele le propose dolcemente di uscire per una mezz’ora. Intanto sarebbe rimasta lei. Uscita la donna, si avvicinò al letto, contemplò, stando in piedi, il volto cereo dell’uomo che, solo, aveva in gioventù veramente amato. Lo contemplò con tristezza dolce e serena. La dolorosa sera della sua lunga giornata si era chiusa, egli stava col suo diletto. Se la sorte di lui e di lei fosse stata diversa, s’ell’avesse potuto diventare sua moglie, l’ora della separazione le sarebbe suonata terribile. Sospirò, quasi rimpiangendo che non fosse stata terribile. Chiuse gli occhi, lo vide giovine, ripensò il segreto amore di allora, così delizioso anche nelle sue inquietudini torbide e amare, ripensò in un baleno le ore di musica, le ore di conversazione, i momenti in cui più avevano parlato gli sguardi, in cui si erano quasi detto, velatamente, il loro amore, ragionando di racconti d’amore, di poesie d’amore, di drammi d’amore