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FORBICI | 181 |
«Ne sono degno, sa» mormorò il giovine.
Si udì rispondere con una energia che lo fe’ trasalire, tanto pareva piena di reconditi sensi:
«Lo credo!»
Massimo aveva già impugnata la maniglia dell’uscio a sonagli ed esitava ad aprire. Si vedeva che pensava qualche ragione d’indugio e non osava dirla.
«Lei vorrà salutare Lelia?» domandò il signor Marcello.
«Se posso» rispose Massimo inchinandosi lievemente.
Fu cercato di Lelia. Era uscita colla chiave della chiesina.
«Allora potrà vederla passando» disse il signor Marcello; e rinunciò tacitamente al proposito di accompagnare Massimo fino alla chiesa. Questi discese solo, chiedendosi se dovesse entrare in chiesa o passar oltre; poichè, apparentemente, la signorina desiderava evitare di vederlo. Giunto al portico, si fermò, incerto.
Lelia ne aveva riconosciuto il passo e indovinò, udendolo arrestarsi, la sua incertezza. Si alzò anch’ella dall’inginocchiatoio, egualmente incerta se uscire o no. Aveva sperato che passasse oltre. Ebbero ambedue lo stesso pensiero: meglio fare ciò che farebbe un indifferente. Ella si mosse per uscire ed egli per entrare. S’incontrarono sulla soglia.
«Parte?» diss’ella, senza stendergli la mano. «Buon viaggio. A rivederla.»
«Che ci rivediamo non sarà facile» soggiunse Massimo, sorridendo. «Ma non dimenticherò i giorni che ho passati in casa Sua.»
«In casa mia? No» interruppe Lelia.
«E Le auguro» proseguì Massimo senza tener conto dell’interruzione «tutto il bene possibile per lunghissimi anni. Proprio di cuore, signorina.»