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172 | CAPITOLO QUARTO |
pretazione che gli fremeva nelle mascelle inquiete e persino nei capelli irti, superò sè stesso. Com’ebbe finito, Lelia espresse la sua simpatia per Clementi, prese in mano il volume.
«Povero Clementi!» disse il signor Marcello. «Chi sa dove andrà a finire!»
Ella non capì subito.
«Dove vuole» disse «che vada a finire?»
«Eh, in una bottega di libri vecchi!»
Le mancò il coraggio di protestare, di dire che se non accettava la ricchezza, avrebbe però accettato il libro. Tacque.
«Ah Signore!» sospirò il vecchio, sfiduciato, squadernandosi e premendosi le mani sul viso, traendole giù lentamente fino a scoprirsi il bianco degli occhi. Lelia, intenerita, cercò ancora una parola buona, una parola del suo rifiuto che ne levasse l’acerbità. Non seppe trovarla. Sentivano ambedue, ella e il signor Marcello, che ciascuno avrebbe volontieri parlato se l’altro cominciasse e tacevano, ella in piedi guardando nel volume di Clementi, egli seduto, cogli occhi al leggio vuoto e le mani abbandonate sulle ginocchia. Finalmente il signor Marcello si alzò, disse con dolcezza triste «addio, cara» e si avviò verso la stanza del biliardo per passare di là nel suo studio. Lelia, assorta nel confuso agitarsi de’ proprii sentimenti, non aveva risposto al saluto inaspettatamente dolce. Si riscosse, trasalì, seguì pian piano il vecchio fino all’uscio, mormorò «papà» e quando egli si voltò, sorpreso, gli porse il viso, per un bacio.
Egli la baciò in fronte, lievemente, con una espressione di beatitudine. Le prese quindi una mano, dicendo: «Vieni, cara», la trasse con sè. Ella intese ch’egli avesse interpretato il suo atto come un principio di consenso ai proprii desideri, ebbe un momento di esitazione, lo seguì, battendole il cuore.