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FORBICI 169

Non si sentiva contenta, però. Alla irritazione di prima era sottentrato un senso di tedio e di fastidio. Sentiva fastidio di stare, di muoversi, di leggere, di suonare. Le era piaciuto, fino a un’ora prima, di contemplarsi in uno specchio della mente, di vedersi nell’atto di respingere l’amore per orgoglio, come, per orgoglio, aveva respinto la ricchezza. Adesso la mordeva un dubbio crudele. Se non vi fossero state trame, se Alberti fosse venuto alla Montanina veramente per caso! Volle disprezzarlo a ogni modo perchè non si era spiegato direttamente con lei. Gli diede, in cuor suo, dello sciocco; e nel pensare il silenzioso insulto le parve avere schiaffeggiato e spinto via la passione di cui vergognava. Le venne in mente di andare a Lago per distrarsi, per sentire cosa vi si dicesse dalla fuga di don Aurelio. E quell’altro, pensò, come giustificherà la sua dimora qui, adesso che don Aurelio è partito? Pensò così e le corse nel sangue un doloroso brivido; la passione cacciata ritornava come ritorna l’onda. Prima di arrivare al cancello le nacque il dubbio d’incontrare Alberti, cambiò idea, prese il sentiero dei castagni, sedette sul primo sedile che trovò, cercò di non pensare, di addormentare le proprie inquietudini tormentose ascoltando i sussurri del vento, guardando le inquietudini dell’erba fiorita. Tacque infatti nel suo interno il pensiero ed entrò il sogno. Egli la sorprendeva, di notte, nel Parco di Velo, al sussurro del vento, al chiarore incerto della luna, nella piova odorosa dei fiori di acacia. Le cingeva la vita di un braccio, l’attirava a sè, le premeva le labbra sulle labbra e il Parco, la luna, il vento, la piova di fiori, tutto cessava di esistere. Ella piegò sul sedile, chiusi gli occhi, semiaperte le labbra, attirata da un fantasma, cedendo; e anche il tempo cessò per lei di esistere.

La campanella della colazione la richiamò alla realtà