Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
164 | CAPITOLO QUARTO |
In questo negare donna Fedele sentì una confessione implicita. Attese ancora un poco e poi domandò alla fanciulla, con piglio risoluto, se le si fosse riferito qualchecosa contro Alberti.
«Cosa vuole che mi abbiano riferito?» esclamò Lelia, sdegnosa. «E cosa vuole che me ne importi?»
Questa volta donna Fedele scattò.
«Oh sì che te ne importa! Come puoi negarlo se ti irriti a quel modo contro di lui per questa calunnia stupida ch’egli sia venuto a caccia di una dote!» Così dicendo, la povera malata si sforzò di alzarsi.
«Lì c’entro io!» esclamò Lelia. E non pensò che tardi ad aiutare l’amica. Se ne scusò, le propose di far scendere la sua carrozzella ch’era salita alla scuderia della villa. Donna Fedele voleva rifiutare ma, fatti pochi passi, confessò, col suo stoico sorriso, che l’impresa era troppo dura per lei. E di vedere il signor Marcello non poteva a meno. Lelia fece scendere la carrozzella per lei.
Il signor Marcello le venne ansioso incontro sulla soglia dello studio. Ella entrò serena, disse che le parole erano state non buone ma che, secondo lei, con un poco di arte si poteva riuscire. Il signor Marcello domandò subito, con un’aspettazione dolcemente commossa, se fosse ancora troppo vivo, in quel cuore, l’affetto antico. Donna Fedele gli stese in silenzio la mano ch’egli prese ma non strinse, presago di una risposta penosa. Il silenzio parlò.
«E allora?» diss’egli.
L’amica gli riferì come, appena veduta Lelia nel salone, avesse indovinate le sue disposizioni di persona adombrata da sospetti e ostile; come avesse allora cambiato i suoi piani per non arrischiare di guastar tutto per