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FORBICI 161

stagni, e la opposta riva di un’acquicella che sbuca lì presso da folte macchie di faggi e di frassini, gira nella stretta, fugge a saltar di burrone in burrone. Oltre la stretta quella traccia moriva in un bel cavo di prato fiorito, dagli alti orli boscosi. Donna Fedele sedette, all’ombra dei noci, dove la traccia muore, stette un poco a guardar pensierosa nell’acqua scura e poi domandò, piano, a Lelia, che stava in piedi e scriveva nell’erba colla punta dell’ombrellino:

«Sai di cosa mi ha parlato papà?»

«Forse sì» rispose Lelia continuando a scrivere.

«Brava. Sentiamo.»

«No, non lo dico.»

«Lo capisco» fece donna Fedele, remissiva. «È una cosa molto intima, molto delicata. Ma è meglio parlarne. Tanto, la tua volontà tu l’hai espressa e non ti si può mica costringere.»

«La mia volontà?» esclamò Lelia, di soprassalto. «La mia volontà?»

«Eh, non lo hai detto, a papà, che non accetti di essere sua erede?»

«È di questo che hanno parlato?»

Lelia smise la sua attitudine ostilmente svogliata. Non scrisse più colla punta dell’ombrellino.

«Di questo e di altro. Ma è di questo che desidero parlarti, adesso. Siedi, non farmi torcere il collo.»

«Discorsi inutili» diss’ella vivacemente.

«Saranno inutili, ma bisogna che tu mi ascolti. Perchè vuoi dare un tal dolore a quel povero vecchio?»

«Perchè posso abbandonargli tutto, ma non la mia dignità.»

Donna Fedele alzò un poco la voce, ebbe un sorriso diverso dal solito, il sorriso che si ha quando si ribatte una parola offensiva e non si vuole aver l’aria di pigliarla in tragico.

FOGAZZARO. Leila. 11