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160 CAPITOLO QUARTO

narsi dalla poltrona «mi pare che Lei non debba aver voglia di passeggiare. Se vedesse com’è pallida! Si guardi nello specchio. Se mi deve dire qualche cosa, può dirmelo anche qui.»

Il discorso no ma l’accento di Lelia fu impertinente.

«Sì, cara» rispose donna Fedele con fredda imperiosità, «desidero parlarti, ma non qui; dove ti ho detto.»

Lelia si mosse in silenzio.

«In questo momento ho l’autorità del signor Marcello» soggiunse donna Fedele, molto dolcemente, temperando la pressione del suo impero. Ora Lelia non dubitò più di una trama cui l’amica avesse parte. L’assenza di Massimo, l’ostinazione di donna Fedele a volerle parlare in un luogo tanto appartato, le misero il sospetto che ella tenesse un incarico da lui col consenso del signor Marcello; consenso strappatogli, forse, in quello stesso momento. E l’offese lo zelo per Massimo, l’offese la violenza morale esercitata sul signor Marcello. Scendeva muta e scura il viottolo del giardino, precedendo la compagna che non potè seguirne il passo e la pregò di rallentare. Lelia le additò il sedile fra i noci, presso la Riderella. Non si potevano fermare lì? All’asciutta domanda donna Fedele rispose egualmente asciutta:

«No, cara.»

Lelia non replicò. Le due signore entrarono, per il cancello di legno, nel Parco.

«Bellissimo!» disse donna Fedele.

Lelia fece una boccuccia sprezzante. Come si poteva dire - bellissimo - appena passato il cancello? Si aveva la stessa veduta che dalla strada pubblica. Già, donna Fedele era molto intelligente ma sentiva poco la natura. Non disse niente. Si avviò e, seguendo una traccia appena segnata nell’erba, svoltò a destra fra una verruca del monte, coronata di grandi noci e ca-