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154 CAPITOLO QUARTO

la messa si diceva per l’anima della signora Trento, ricorrendo l’anniversario della sua morte. La preparazione fu lunga, la campanella querula suonò altre due volte. Donna Fedele, seduta presso la piletta di pietra che ha un fregio di stelle alpine, pensò, con certa commiserazione, quanto dovesse penare il povero cappellano a rimettersi della sorpresa spiacevole. Ricordando l’arrabbiatura ch’egli le aveva fatto prendere, ebbe un moto di pentimento e di umiltà. Fra il fogliame della vigna mistica dipinta nell’abside è visibile la parola di Cristo: ego sum vitis, vos palmites. Il diavolino sarcastico del suo cervello prese una rivincita, le suggerì che don Emanuele era forse un pampano infecondo; ma ella si sdegnò delle idee che le venivano proprio in chiesa e guardando la vigna del Signore. Almeno, pensò, il cappellano sarebbe un pampano verde mentre io sono un pampano secco. Entrò il signor Marcello che non si aspettava di vederla e la ringraziò collo sguardo, credendo fosse venuta per l’anniversario. Dopo di lui entrò Lelia. Don Emanuele celebrò con gravità di asceta e di prelato. Il più raccolto degli ascoltatori fu il signor Marcello che, inforcati gli occhiali, lesse l’Imitazione dal principio alla fine della Messa, senza sedere mai. Lelia non pregava, guardava spesso, per la porticina di fianco, la verde scena del Parco di Velo, la chiara lama di prato, fra i castagni, dove era passata nella notte. Donna Fedele guardava spesso, con pena, il signor Marcello che le pareva dimagrato e, peggio che pallido, giallastro. Guardava pure Lelia, svogliata e scura. Non potè a meno di pensare, pure rimproverandosi della distrazione, al prossimo colloquio con lei, al dolore del povero Alberti se, per caso, la risposta fosse negativa, alla impressione mista di compiacenza e di tristezza che ne avrebbe il signor Marcello. Perchè don Aurelio le aveva detto che il signor Marcello si sarebbe certa-